I LUOGHI FANTASTICI DELLA NOSTRA MEMORIA
Delle scuole ricordo soprattutto il profumo dei fiori dei quali le varie aiuole disseminate in ogni angolo erano sovrabbondanti e quel senso di libertà che quei profumi mantenevano vivo e forte.
All’epoca si narrava che le scuole di Casape fossero le più belle del Lazio, non ho mai saputo quanto fosse una notizia vera e quanto una leggenda ma mi piace credere che fosse proprio così anche perché difficile immaginare un posto che sapesse affascinare più bambini e ragazzi e fargli vivere una “scuola” diversa.
Il complesso scolastico si sviluppava lungo una piccola collinetta alla quale si poteva arrivare da più parti: c’era il percorso che facevamo mio fratello ed io tra viette e stradine di campagna, quando, in inverno, percorso l’ultimo tratto di salita, dove la strada spianava, si raggiungeva la cima si veniva premiati con il sole che sembrava aspettasse noi per spuntare...una delle cose più care che ricordo….
C’era poi la strada principale, quella che attraversava la via del paese poi terminava in una lunga salita asfaltata dalla queale noi deviavamo passando per una piccola pineta; quest’ultima non era una strada era un arrampicarsi in su tra un albero e l’altro, uno sballo!
Di quella lunga salita ricordo un giorno d’inverno, tutto era completamente ricoperto di neve, le macchine dei maestri stentavano a salire e ce la fece, disinvolto e fiero, solo esso: il maggiolino arancione del mio maestro, ma lui non era di questo mondo…
Avendo cinque anni in meno di mio fratello, essendoci solo una sezione, avemmo lo stesso insegnante di scuole elementari, il maestro Dino Carrarini; spesso lui ed io ci fermiamo a ricordarlo; sappiamo che morì oramai molti anni fa, nonostante non avesse molti anni.
Se c’era qualcosa che poteva superare in bellezza le nostre scuole quello fu proprio lui.
Se chiudo gli occhi e ripenso a lui ricordo un uomo alto e di bella presenza, capelli e barba lunghi che, insieme alle sue camicie a fiori, i jeans e gli zoccoli bianchi facevano di lui senz’altro un “figlio dei fiori”. Aveva un fare gentile ma sicuro, era buono, mai sgarbato.
Un giorno, per spiegarci gli egiziani, ci portò un reperto, un Ibis, preso dal suo negozio di antiquariato - e come poteva non avere a che fare col “tempo” una persona così magnificamente fuori da ogni epoca come lui? Un altro giorno, si avvicinavano le feste di natalizie, per spezzare la routine e premiarci a modo suo, la lezione fu: imparare a giocare a Monopoli, avrebbe potuto essere utile di li a poco, così, seriamente ma con l’affetto di un papà che accompagna i propri figli, ci spiegava tutto stando un po' vicino ad ognuno...era già Natale nei nostri cuori...
Una volta presi una nota. Si parlava di discorso diretto e indiretto, sempre per mantenere desta la nostra attenzione e coccolarci un po', ci portò la casetta di Hansel e Gretel da mangiucchiare a fine lezione; che bontà il comignolo di cioccolato! Era così grande che non riuscimmo a finirla; due giorni dopo Giovanna ed io, due strateghe, pensammo che all’uscita potevamo far finta di andar via e invece, una volta andati via tutti, rientrare e finire quel tetto di zucchero colorato ancora in piedi...la fine è immaginabile: il maestro, tutt’altro che disattento, non avrebbe permesso che potessimo sentirci male con cibo oramai vecchio e via a casa con una lunghissima nota color rosso vivo, che vergogna!
Mio fratello, appassionato di astronomia sin da bambino, ricorda le sue lunghe conversazioni con il maestro, dopo le lezioni, a parlare di pianeti, super nove, buchi neri…perdevano entrambi ogni cognizione spazio temporale per vagare in un moto infinito in galassie lontane.
Io ricordo le unghie delle dita delle mani tagliate a punta, la pipa spenta che gli conferiva ancor più un’aurea senza tempo...che fine hai fatto maestro! Perché nessuno ha mai saputo darci notizie di te nonostante avessimo chiesto a tanta gente del paese dove sapevo abitassi insieme a tua moglie? Forse è come pensavo, non era esistito veramente, era troppo speciale per essere vero, eppure il mio maestro è stato lui, è lui che un giorno, leggendo ad alta voce alla classe e lodando un mio riassunto mi fece credere per sempre che sapevo scrivere ed io vorrei tanto dirgli che per questo abbandonai i numeri quasi a scaricare a lui la responsabilità di tanta incapacità matematica.
Ogni classe era una sorta di casetta delle favole con il suo ambiente reso accogliente e luminoso da ampie vetrate che affacciavano su un cortile con erbetta, aiuole, alberi. Per andare da una classe all’altra vialetti, qualche gradino gentile, mezzi giri intorno ad una siepe….immaginate cosa poteva essere a ricreazione, quando si apriva il nostro momento, iniziava tutto allora….si giocava! Provate a pensare cosa poteva essere giocare a nascondino in un simile paradiso! Nessuno poteva avere di più.
Nei miei ricordi di infanzia la ricreazione durava ore e nascondino era una sorta di safari dove potevi fare incontri magici: farfalle gigantesche, Miciogatto, il gatto bianco e rosa che da sempre popolava quei pittoreschi sentieri; bambini più grandi e più piccoli che per l’occasione si univano, si confondevano l’uno nell’altra con l’unico scopo di vivere la loro avventura.
Simili giochi oggi sarebbero impensati... saltare muretti, scavalcare finestre, correre, correre lontano come se non ci fossero confini ...quel senso di libertà credo sia la mancanza più assordante nella quotidianità di ogni giovane vita di oggi. Il tuo livello di libertà si misurava dallo stato delle tue ginocchia: più erano sbucciate e graffiate e più significava che avevi seguito il tuo istinto e devo dire che dall’epoca i miei coetanei ed io stavamo messi tutti abbastanza bene.
Nella nostra scuola le classi erano stabilite a priori: la prima era nella parte più comoda e con accesso più veloce, vicino c’era la seconda; quelli della terza, oramai grandi, potevano anche raggiungere la casetta al livello inferiore, alla quale si accedeva attraverso dei gradini scesi i quali un giardino grande e tutto nostro ci aveva fatto di di rimpiangere d’essere stati promossi in quarta tanto era bello quel quadretto.
Le classi quarta e quinta si trovavano in una zona abbastanza distante dal resto, si faceva una sorta di salto spazio-temporale e si arrivava più in alto, un po’ come accadeva nella divina commedia: dall’irresistibile follia dell’Inferno si passava alla pacatezza del paradiso, decisamente meno affascinante secondo me e le pareti interne ricoperte dalle figure fiabesche dell’abbecedario, dai disegni naif che aiutavano a capire parole difficili come soqquadro si perdevano per lasciare il posto a carte geografiche, scene storiche.
Quello che mancava a queste due classi era la vicinanza col resto: piante, fiori, il resto delle classi; Miciogatto non arrivava mai tanto lontano o forse era che un po’ si cresceva e questo stordisce sempre un po’ prima di abituarsi.
Arrivati a 10 anni si apriva la seconda parte di questo libro magico, anch'essa bellissima come del resto tutte le fasi ogni fase della nostra vita lo sono. Purtroppo nella mia classe ci ritrovammo ad essere in meno: alcuni genitori avevano ritenuto più opportuno spostare i propri figli nella più grande Tivoli, ritenendo ci fossero scuole più qualificate ed io personalmente non gliel’ho mai perdonato! Mi mancava la mia amica Emanuela e penso che anche con Antonella, i gemelli, saremmo stati meglio al mattino a scherzare fuori dal cancello o a giocare nei cortili.
Le classi medie tornavano ad essere vicine tra loro in un’area ancora più in alto, tre classi per un totale di una trentina scarsa di ragazzi che ora erano adolescenti e così alla confusione di chi sta crescendo si aggiungeva l’energia esplosiva degli ormoni…
Le scuole a Casape si trovano in uno dei punti più alti del paese, in una zona dove la campagna assume i contorni di montagna; per raggiungere queste tre classi si poteva accedere da due vie: una era dal cancello, ed era poi la stessa entrata delle scuole elementari, che sarebbe dovuta essere l’unica per noi; l’altra, ovviamente più lunga, era l’accesso riservato alle macchine quindi ai professori. Noi si era soliti passare da questa entrata quando ( sempre) si aveva bisogno di chiacchierare dell’amica antipatica, del ragazzo che ci piaceva, dei segreti (infiniti) che si custodivano (male) dentro.
Di quegli anni ricordo tante cose: le lezioni di musica in cui noi, autodidatti ci si radunava attorno alla cattedra, Massi, Massimiliano, intonava una canzone e noi ci lasciavamo trasportare dalla melodia accompagnando il tutto con tamburellate sul registro di classe che finalmente veniva usato da qualcuno.
La prof. di educazione fisica ci faceva correre dall’entrata superiore a quella inferiore, una sfacchinata unica ma bella che ci vedeva alla fine tutti buttati a terra, sull’erbetta antistante le classi, a fissare il cielo dove le nuvole ci regalavano mille evoluzioni…
Delle medie ricordo tante cose: il professor Sirna e il suo inseparabile sigaro, sarà per questo che adoro quel profumo, sempre più raro da ritrovare; Piera, una ragazza che viveva nel collegio del paese, un istituto che per tanti anni ospitò ragazzi che, per svariati motivi, venivano temporaneamente allontanati dalle proprie famiglie; la sua bellezza fresca e la sua gioia quando riuscì a dire una frase in francese e le sue lacrime quando il padre decideva che per il week end non sarebbe venuto a trovarla.
Ricordo le passeggiate- lezione di scienze e le partite di pallavolo sempre, tra una campanella e l’altra tra una pioggia e una pausa improvvisata. In quel cortile ci facemmo grandi davvero: un po' di seno qua, una voce diventava grossa di la e le mestruazioni e i loro <<ti vuoi mettere con me? >>
L’anno in cui finii la terza media fu l’ultimo anno in cui ci furono le scuole medie a Casape: il numero esiguo non permetteva di continuare a tenerle aperte così quelle ultime tre casette, del secondo capitolo della fiaba fantastica che si consumava ogni giorno nel nostro complesso scolastico, chiusero per sempre i battenti e i ragazzi che vennero dopo furono costretti ad spostarsi in zone limitrofe oppure raggiungere Tivoli.
Se solo sapessero i genitori che anni prima spostarono i propri figli in altre scuole che danno hanno arrecato alla comunità! Magari era solo questione di tempo ma per altri anni altri ragazzi avrebbero potuto continuare a vivere la loro adolescenza in paese dove tutto poteva mancare fuorchè ciò che serviva veramente a loro.
Iniziando a prendere l’autobus per raggiungere Tivoli dove frequentare le scuole superiori mi ritrovai tutti i giorni con i miei giovanissimi compaesani, bambini dai 10 ai 13 anni costretti ad alzarsi presto, vivere fin da subito i disagi dei pendolari e soffrire delle brusche escursioni termiche proprie di Tivoli.
Ancora ricordo quegli occhioni assonnati e un po’ spaventati al mattino presto, magari in inverno, quando alle sette era ancora notte e sarebbe stato giusto che loro stessero ancora sotto le coperte a fare sogni di bambini e invece eccoli li, in piedi, indifesi, qualche volta vittime del bullismo dei ragazzi più grandi di altri paesi tutti insieme ammucchiati su un autobus maleodorante…
Qualche giorno fa è circolata la notizia che da quest’anno anche le scuole elementari hanno chiuso per sempre le loro porte, troppo pochi i bambini per giustificare le istituzioni a sostenere le spese.
Addio per sempre a quei vialetti, i fiori, le farfalle gigantesche; le vetrate continueranno a guardare tristi i cortili vuoti mentre nelle scuole medie nessun bambino si farà più ragazzo mentre gioca a pallavolo. Tutto cambia a questo mondo ed è forse giusto così ma la memoria di quanto è stato quella no, quella è giusto che resti a ricordarci da dove veniamo e magari a farci sognare un po' …
A Natale in famiglia abbiamo giocato a Monopoli, mi sembrava d’essere tornata bambina...